Un articolo da leggere con molta molta attenzione...
per certi veri discutibile
ma che fa capire molto bene due cose
1- Come vi ripeto da secoli, la Grande Crisi è anche una Guerra combattuta con altri mezzi (monetari etc)...Siamo in territorio inesplorato e nessuno sa veramente come andrà a finire: la mia ipotesi è che andrà a finire molto male.
2- La Svizzera rimane uno dei migliori Safe Haven a disposizione (relativamente parlando) ed in questo articolo verrà evidenziato uno dei tanti perchè...
Ma un sacco dei miei lettori, amanti della "Roulette Russa", continuano a tentennare ed a tenere tutti i risparmi in euro e nella banchetta italiota sotto casa.
Dopo la lettura di questo articolo, per i miei lettori sarà più chiaro un mio prossimo post sulla "farfallona che sbatte le ali a Tokyo e solleva uno Tsunami altrove..."...;-)
Svalutazione dello yen, riequilibrio valutario e non ricatto monetario
La
decisione di Tokyo di raddoppiare la base monetaria si allinea
sostanzialmente a quanto stanno facendo americani, europei e anche la
Svizzera.
Un tasso di cambio sottovalutato ha consentito due decenni di
"miracolo" cinese.
Ma oggi i Paesi di antica industrializzazione non
possono consentire la propria totale abdicazione industriale.
Milano
(AsiaNews) - La svalutazione dello yen conseguente alle decisioni Banca
del Giappone (BdG), la banca centrale nipponica, è una guerra
monetaria. .....................
Lo scrivono alcuni - parecchi, in verità - economisti cinesi.
Si tratta di un "ricatto" e invitano i cinesi a lanciare il
contrattacco, a vendicarsi, facendo altrettanto.
Secondo costoro, la
Banca Cinese del Popolo, BCP, la banca centrale della Cina, in questa
guerra valutaria deve difendersi ed indebolire lo yuan reminbi, la
valuta del regime cinese capital-comunista.
A parlare di guerre monetarie ad AsiaNews siamo stati, già
diversi anni fa, tra i primissimi e lo abbiamo ripetuto anche di
recente.
Se oggi dobbiamo ripeterci non è per stanchezza di analisi e
mancanza di idee, ma perché questa è oggi la scoperta degli analisti
economici ospitati con sussiego dalle fonti "ufficiali".
È il caso, ad esempio, tra gli altri, del prof. Li Daokui della
Tsinghua University o di Liu Ligang della banca australiana
neozelandese ANZ.
A proposito della politica monetaria della BdG (BOJ) e della
dichiarata intenzione di raddoppiare la base monetaria per ridare fiato
allo sviluppo del Sol Levante dopo ben due decenni di stagnazione
economica.
Liu, che in passato è stato consigliere della stessa BCP, ha
letteralmente dichiarato, senza mezzi termini, che la politica della BdG
è un "ricatto monetario".
Altri, come Chang Jian, un economista cinese,
analista per la banca inglese Barclays, la prendono un po' alla larga.
Chang, criticando la BdG, predice che l'aggressiva politica della BdG
volta a stimolare una crescita dell'emissione di moneta da parte del
sistema bancario - facilitando la concessione dei crediti - non riuscirà
a rilanciare l'economia nipponica, ma creerà problemi alle esportazioni
dei Paesi dell'area, alla Corea del Sud, ancor più che alla Cina.
Meno
diretto, ma forse più superficialmente convincente, anche Chang
ribadisce, insomma, lo stesso concetto e sentenzia che la politica
monetaria giapponese oltre che pericolosa è anche inefficace.
Tanta bella e dotta indignazione fa però sorgere subito qualche dubbio.
In primo luogo vediamo dunque di che cosa si tratta.
Con l'avvento
del nuovo primo ministro Abe l'obbiettivo del Giappone è di uscire dalla
depressione ventennale mediante un'inflazione "programmata" del 2%
annuo.
Sulla base di un piano annunciato giovedì della scorsa settimana
la banca centrale giapponese ha annunciato che raddoppierà la base
monetaria, il circolante monetario, portandolo per marzo 2015 a 270mila
miliardi di yen, mediante l'acquisto mensile di 7.500 miliardi di
obbligazioni del debito pubblico nipponico.
Haruhiko Kuroda, il nuovo
governatore della BdG, ha infatti dichiarato che farà tutto quanto
necessario per far uscire il Paese dalla stagnazione deflazionistica.
La
sua politica non è di fatto differente da quella della banca centrale
americana, la Federal Reserve, di Mario Draghi governatore della BCE,
quella che è di fatto la banca centrale dei Paesi dell'euro, della Banca
d'Inghilterra.
È la stessa politica, già da qualche anno, della Banca
Nazionale Svizzera, BNS, in un Paese in cui la Costituzione Federale,
articolo 99, obbliga la banca centrale a detenere una riserva valutaria
pari al totale della liquidità emessa, cioè al circolante monetario.
Nel
settembre 2011, infatti, la BNS, per contenere l'afflusso di capitali
esteri, ed il conseguente rafforzamento del franco rispetto all'euro,
affermò che avrebbe emesso moneta nazionale all'infinito pur di
difendere il tasso di cambio di 1,20 per euro.
Anche la mitica riserva
monetaria svizzera - nel 1961 la copertura aurea era pari al 145 % dei
franchi emessi e fino al 1/1/2000 era possibile redimere in oro il
controvalore delle banconote in franchi - è dunque ora anch'essa
composta sempre più in gran parte da cartamoneta e da attivi finanziari[1].
[1]
Per la verità le riserve d'oro svizzere rimangono cospicue, con la
copertura aurea che nel luglio 2007 era pari a circa l'ottanta percento.
Inoltre, una recente iniziativa legislativa popolare elvetica mira ad
imporre un obbligo di legge tale per cui almeno il venti percento delle
riserve sia costituito da oro.
Nel 2000 la Svizzera fu sottoposta da
forti pressioni internazionali, ispirate da Greenspan, a vendere - anche
mediante una campagna mediatica un po' dubbia - una discreta parte del
proprio oro. L'intento era di demonetizzare l'oro.
È vero, lo yen giapponese si è indebolito di circa il trenta percento
da quando ha preso avvio il nuovo corso di politica monetaria
nipponico, ma l'obbiettivo dichiarato dalla BdG è identico a quello
fissato dalla Fed americana, il 2% d'inflazione.
Per 20 anni la Cina è cresciuta sulla sottovalutazione del cambio
Una guerra valutaria è certo in atto, dunque, ma l'indignazione degli
analisti citati è risibile.
Dov'erano questi stessi critici quando per
vent'anni, dal 1994, la Cina popolare ha mantenuto un livello di cambio
sottovalutato del 45% rispetto alla parità di Potere di acquisto, la
PPA, come più volte da noi documentato su questo sito?
Ipocriti,
verrebbe da dire, mutuando dal linguaggio evangelico, o servi del
regime, prendendo invece dal linguaggio marxista.
Sulla sottovalutazione
del cambio, stabilita per decreto, a partire dal 1994, dai funzionari
del Partito comunista cinese e non su una maggiore efficienza, la Cina
ha fondato per ben due decenni la sua storia di "successi" industriali.
Il costo è stato alto e non solo per la devastazione ambientale.
Da un
alto, per il proletariato di centinaia di milioni di lavoratori migranti
cinesi - portati a volte sull'orlo del suicidio - il costo è stato uno
sfruttamento schiavistico e per le popolazioni rurali, nell'euforia
generale, uno stato di abbandono.
Dall'altro lato il resto del modo è
sprofondato nella disoccupazione e nella delocalizzazione delle imprese,
nel consumismo e nella bolla finanziaria.
È stato per i Paesi
occidentali un periodo di narcosi collettiva simile, come per nemesi
storica, a quella introdotta in Cina dagli inglesi con le guerre
dell'oppio, a metà del 1800.
Oggi i Paesi di più antica industrializzazione, il Giappone, e con
esso gli USA, e l'Europa, chiariscono ai dirigenti cinesi che non
possono più concedere a chi, come la Cina, se ne è già tanto
avvantaggiato, spazi ulteriori per una propria completa abdicazione
industriale.
Nel 1994 forse qualcuno chiuse un occhio (o meglio tutt'e due) per
favorire una transizione "morbida" dell'economia cinese da un'economia
stalinista ad un'economia, diciamo così, di (pseudo) mercato, con
l'aiutino del tasso di cambio.
Erano passati appena pochi anni dalla
repressione operata dal regime cruenta dei moti di piazza Tienanmen nel
1989.
Era evidente che a differenza dell'Unione Sovietica il regime
comunista cinese non avrebbe passato la mano senza spargere sangue,
forse molto sangue, forse ricordando al mondo di avere dei missili a
lunga gittata e con ogive nucleari.
Fu un ricatto del regime cinese?
Fu
sapiente lungimiranza da parte dei Paesi occidentali far finta di non
accorgersi del trucco valutario ed accogliere la Cina nel mondo
globalizzato del WTO in cui venivano aboliti tutti i residui dazi
doganali mentre in essa vigeva il protezionismo valutario?
Lo dicano gli
storici, lo giudichino i lettori.
Certo è che quando in molti settore
industriali chiave quasi la metà della produzione mondiale, ed in certi
casi anche di più, è ormai localizzata in Cina è evidente che non
esistono ulteriori spazi per crescere per tale strada.
Il modello della
crescita economica trainata dalle esportazioni - in Cina come in altri
Paesi asiatici come la Corea del Sud, che anch'essa ha a lungo mantenuto
una valuta artificialmente sottovalutata - è ormai di fronte ad limite
di fatto.
Certo è anche che questi ultimi anni, con il fallimento dello
"stimolo" economico interno, hanno dimostrato che la Cina è incapace di
crescere autonomamente sia distribuendo più equamente tra tutta la sua
popolazione i proventi tratti dalle esportazioni, sia producendo
innovazione autonomamente, senza scopiazzare cioè la costosa ricerca
altrui.
Con la crisi nei Paesi occidentali, infatti, le imprese hanno
dovuto tagliare in primo luogo proprio la ricerca perché non dà
risultati nel breve, brevissimo periodo, quello che conta nell'immediato
per la sopravvivenza.
Priva di questa fonte occulta e "gratuita" di
innovazione e senza l'aiutino valutario, la Cina rischia davvero che la
sua prodigiosa macchina di "successi" economici si blocchi e che il suo
intero sistema sociale si schianti.
In questo scenario, tensioni
internazionali altrimenti inspiegabili come quella per le disabitate e
per ora insignificanti isole Senkaku / Diaoyu o come le minacce
missilistiche nucleari della Corea del Nord (da sempre sostenuta
sottobanco dalla Cina) assumono sempre più chiaramente un loro
significato di avvertimento, minaccia, ritorsione. Ricatto militare e
nucleare sono però forse l'espressione più appropriata.
Ad AsiaNews siamo stati sempre molto critici rispetto
all'allegro gonfiare a briglia sciolta di attivi finanziari l'economia
mondiale, da parte della Fed, della BCE e della BdG.
L'esito finale sarà
una devastazione economica e finanziaria senza precedenti, è scontato.
Non possiamo però nemmeno accettare l'ipocrisia di chi oggi definisce
"ricatto monetario" quello che non è altro che un parziale riequilibrio e
bilanciamento valutario.
Ancor meno possiamo essere d'accordo che ad un
presunto "ricatto monetario" qualcuno pensi di rispondere con il
ricatto militare o peggio nucleare
di Maurizio d'Orlando
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